Treviso: Letteratura, come e perché nella testimonianza
dei protagonisti al Ginnasio Canova
La letteratura, quella con la
elle maiuscola, quella delle antologie, quella delle foto
con scrittori ormai rincartapecoriti dagli anni va momentaneamente
espunta dalla nostra mente. Scrivere, come dipingere,
cantare o suonare, sono naturali inclinazioni dell'uomo.
L'utilità, io credo, di incontrare un autore, sia
proprio quella di sapere quali siano le costanti che debbano
essere affrontate da qualcuno che voglia almeno provare
a coltivare, di più o meglio, l'humus che ci è
proprio, in una qualche misura.
ALBERTOLEONCINI@libero.it
Isabella Panfido e Gian Mario Villalta, due autori di
un certo spessore nell'ambito dell'intellettualità
che deve ancora finire il suo iter artistico, sono venuti
al Liceo "Canova" di Treviso. A dire il vero
una delle rare attività che allontanano la rappresentazione,
ormai imminente, di "Scuola pubblica: ultimo atto".
Le iniziative, ovviamente, non erano certo affidata "all'Istituzione",
bensì al "responsabile organizzativo professor
Giuseppe Rao", come recitava precisa la circolare
divulgata per le classi.
Lo scorso 6 aprile, Isabella Panfido è partita
dal suo "Casa di donne" (Marsilio- €11,50
www.marsilioeditori.it)
narrando cosa ci sia "dietro le quinte" alla
sua opera. L'originalità di questa silloge prosimetrica,
credo stia proprio nell'indagine/narrazione dell'universo
femminile sotto il profilo del "caso", non della
"Donna".
La Panfido, altra peculiarità, si pone, inquanto
donna, su un piano di pariteticità con quanto scrive.
Non è quell'universo femminile di cui tutta la
poesia- eminentemente maschile- narra; proprio perché,
come lei stessa ha affermato nell'incontro, "il poeta
non può più permettersi di fare l'eroe".
Si potrebbe a lungo discutere su questa poesia del "primo
piano", certo è che l'intento è proprio
quello di esaltare la natura femminile nel suo eroismo/antieroismo
quotidiano.
E' da sottolineare, inoltre, questa sofferenza sempre
sottesa tra le pagine. Un dramma che affiora spesso tra
le pagine, un dolore che proprio per la sua grandezza
"restituisce lo spessore al mondo attraverso il ricordo".
La poesia, insomma, diventa in qualche modo la scansione
della sacralità della vita. Una vita filtrata dalla
sensibilità poetica, che mira a distaccarsi in
senso assoluto dal "fatto", delineandosi come
"atto". La Panfido, propone l'atto in senso
assoluto, incarnato nel mondo immaginario delle Muse.
Ci vengono concessi solo ritratti e spiegazioni per sommi
capi, con toni allusivi e chiaroscurali; giusto per avere
un contatto con quel mondo senza alterarlo con alcuna
prevaricazione.
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Di tutt'altre cose si occupa Villalta, incontrato il
12 aprile, nel suo "Vita della mia vita" (Mondadori
€16,50 www.librimondadori.it).
Un romanzo costruitro su flash-back e rimandi; narrazione
ricamata sopra uno dei drammi del nostro tempo: la fecondazione
medicalmente assistita.
L'occasione narrativa, direi, perché l'analisi
delle psicologie dei protagonisti, prima della nascita
di questa "vita" costituisce in realtà
il vero fulcro che Villalta sfrutta per sviluppare l'intreccio
narrativo; difatti il romanzo finisce prima della nascita
di questa vita, come l'autore ha sottolineato nel suo
discorso, perché "è un'altra storia".
Questo, a parer mio è ciò che Villalta fa
nel modo migliore, il porsi cioè come uno scrittore
di analisi fuori dalle categorie e dai clichè stabiliti
a priori.
Il fatto narrativo, pur importante ed essenziale, viene
nettamente controbilanciato dalla sua attitudine all'analisi.
La definizione più calzante per Villalta io credo
sia quella di "autore coraggioso". Non è
da tutti interessarsi ad un tema sottaciuto nonostante
riguardi più di 50.000 persone solo in Italia,
come lui stesso sottolineava, senza vestire i panni della
crociata o porsi come "operaio della mente".
E' chiaro che le molteplici implicazioni di questo romanzo,
rimandano ad una complessità di analisi e di critica
non indifferenti. Proprio per la sua attenzione al tema,
Villalta pone degli interrogativi su quanto scrive.
Per sua stessa ammissione, propone anche delle soluzioni,
ma non le considera verità assolute.
Il romanzo, forte anche del blasone "Mondadori",
ha ottenuto un buon successo, fatto che ha posto Villalta
in un ambito di rilievo fra gli scrittori emergenti, dopo
essere stato consacrato come critico dalla co-curatela
del Meridiano dedicato ad Andrea Zanzotto.
Un elemento che, stranamente, accomuna questi due autori
è l'estrema attenzione alla formalità.
Il Novecento, nella sua globalità, sembrava aver
respinto certi canoni, eppure assistiamo, io credo per
un'implicita mancanza di modelli umani, ad uno strano
"ritorno degli ex".
Villalta la definisce "scrittura sofferta",
la Panfido "attenzione alla parola". Non sono
che due facce della stessa medaglia, una volontà
di trasmettere con la forma, veicolando il massimo dei
contenuti attraverso quest'ultima. Asservendola in modo
assoluto allo scopo narrativo dell'autore.
E' significativo, io credo, il vivace dibattito scaturito
a margine dei due interventi: il testo ha fatto il suo
dovere, quello di condurre il lettore ad un processo dialettico
senza precludere l'evento narrativo. Il testo letterario
è di per sé "evento", con una
sua storia e propri riallacci; certo non è quasi
mai possibile sapere cosa ci sia davvero dietro a quanto
si legge. Certo però che incontrare un letterato,
va senz'altro nella direzione di quell'approccio al testo
suggerito da Salinger, il cui autore va considerato come
un "amico".
ALBERTOLEONCINI@libero.it