A tutto Tavor: Privacy
Non ricordo da quanto la conosco.
Graziella Altieri è un'amica di famiglia, sempre
vista negli incontri conviviali sotto le feste. Elegante,
snella e giovanile; una persona riservata ma egualmente
pronta e gentile. Il suo stile, si direbbe quasi "all'inglese".
di Luccia Danesin
L'età me l'ha detta giorni fa durante una lunga
camminata. " Quasi settanta! ma stai scherzando?
non sembra proprio..". Mai sposata, ma ugualmente
tanto amata e ricercata. Ha avuto da sempre un dono, una
passione tutta di cuore nel sapere risvegliare dal torpore
delle medie tanti alunni arrivati al suo Liceo. Una scuola
cittadina di prestigio proprio per la materia che insegnava:
Lettere classiche.
Io e lei ultimamente siamo entrate in confidenza, forse
da quando i nostri genitori son mancati. Ci siamo allora
ritrovate non più per quei riferimenti di famiglia,
ma per certe nostre già intuite affinità.
Sapendo di alcune sue preoccupazioni, di certi suoi timori
per un problema di salute ("un piccolo ma invasivo
esame medico", di più non dice) che deve affrontare,
mi propongo volentieri per quel giorno di accompagnarla,
di farle compagnia. Lei, così restia e discreta,
un poco mi sorprende quando accetta la mia offerta.
La clinica fissata per lo scopo è sotto-tono, muri
da ri-tinteggiare, arredi da rimodernare, ma ha fama di
personale medico di buon livello, ed è proprio
lì nel suo quartiere.
La sala d'aspetto è unica, è tutta in comune.
Le sedie di fòrmica verdina attaccate strette-strette
le une alle altre, sono disposte a mo' di raggiera, così
ognuno ha gli occhi puntati di quello che gli sta giusto
di fronte. Qualche colpetto di tosse e si scruta il tavolinetto
posto nel centro. Alla rinfusa spiccano un po' stropicciate
Stop, Novella 2000, Chi, Gente, tutte riviste da parrucchiere
per soddisfare l'imperante gossip tanto di moda.
In queste strutture, come nei grandi ospedali, ci sentiamo
davvero un po' tutti sperduti, straniati dal resto che
abbiamo lasciato girare lì fuori. La luce fredda,
giallognola dei tanti neon rende spettrale anche il più
roseo incarnato. L'aria pesa, si sente la mandorla amara
di certe pomate, gli asettici odori di alcool e crosoti;
spesso, nell'ora dei pasti, frammisto e pregnante c'è
anche quello di verdure bollite, quell'odore dei refettori,
degli anni in colonia.
Mentre si aspetta, è presente in ognuno - e in
qualcuno di più - l'acuta distanza da tutti quegli
altri che gli sono vicini. Ognuno è calato dentro
sé stesso con un tema centrale: l'esame da fare,
l'esito da mostrare, i dubbi da chiarire: essere capiti,
rassicurati da un medico gentile e paziente; e in tutti
ugualmente la voglia impellente d'essere altrove, scappare
da là. Riprendere fiato e scrollarsi di dosso tutti
quei mali
Ogni tanto dal lungo corridoio sbuca un dottore - diverso
a seconda della specialità - e chiama per nome
e cognome il paziente già iscritto nella sua lista.
Graziella è un po' tesa, cerco parlando di tranquillizzarla
ma la vedo sfuggente, imbarazzata per tutta la gente,
gli sguardi. Mi dice qualcosa e poi intuisco: si avvicina,
in tutta l'altezza e con sorriso smagliante, un bel giovanotto:
"Professoressa, che piacere rivederla. Anche lei
qui?" "Io devo farmi una lastra al ginocchio,
...sa, giocando a calcetto..". Ora l'amica, pur riluttante,
è entrata nel "ruolo", e mentre si informa
sulla carriera del suo ex alunno, anche lo sguardo le
torna curioso.
Dal fondo del corridoio qualcuno chiama il suo nome.
Graziella si appresta ad alzarsi mentre saluta con un
sorriso composto il suo giovanotto.
Nella sala gremita di gente un'anziana infermiera si affaccia,
gira lo sguardo un po' infastidito e sillabando computa
con voce squillante: "Gra-zi-ella Al-tie-ri, la signora
della retto-sco-pia".
Di
Luccia Danesin