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Nu. 41, IV - 1 agosto 2007 -mensile telematico sul Veneto e Triveneto e cosa fanno i veneti dentro e fuori d'Italia

A proposito di Islam: il mondo è di tutti


Siamo dei ficcanaso. Vogliamo metterci in mezzo a questioni che non ci riguardano. Questo pensano di noi molti musulmani. Noi invece diciamo che vogliamo capire le questioni islamiche specie quelle in Italia e non ficcare il naso in questioni che non riguardano gli occidentali.

Di Raffaella Biasi

AbbraccioQuesta apparente antitesi è uno dei noccioli chiave su come i musulmani vedono il nostro interesse per il mondo islamico. Ecco, ciò che non viene ancora detto nei giornali è proprio questo. Da un lungo soggiorno in Egitto conclusosi a luglio ho potuto toccare con mano molte questioni aperte e ancora non comprese in Italia.

Prima di tutto il fatto che l’occidente si preoccupa troppo di sondare la società islamica con lo scopo di cambiarla e ciò è sentito come un attacco alla loro società. Se qui si avesse una vera percezione dei loro pensieri, davvero ci porremmo seri dubbi su tutto: sulle nostre società ed anche sui nostri valori. Quando io rispondo agli egiziani che abbiamo dovuto prendere coscienza in fretta della questione islamica a causa della massiccia immigrazione e delle relative richieste allo stato italiano e che proprio grazie a questa libera diffusione di cultura le nostre società si sono tranquillizzate e hanno favorito l’immigrazione e l’accoglienza, ecco che la battuta va nella direzione che comunque noi ci preoccupiamo troppo di cambiare le società altrui senza prima sistemare i nostri problemi.

Per fortuna da noi non c’è la censura totale sui giornali, bisogna solo stare attenti a non ferire troppo chi è troppo suscettibile. Ma le ferite della colonizzazione e delle sottomissioni politiche create dall’occidente a cominciare dalla caduta dell’impero ottomano, così come le ferite della povertà nel terzo mondo, sono ancora ben aperte e la rielaborazione interiore del proprio rapporto con una religione che è insieme anche comportamento sociale, è solo all’inizio.

Vi è una ricerca e un fermento nel mondo islamico che sta creando grande fermento in tutti i sensi. Ormai abbiamo la certezza che si presentano qui da noi una pluralità di differenti islam, ma ogni persona dirà che il suo è l’unico e il migliore. Dall’islam estremista che ormai abbiamo imparato a riconoscere (quello dei delitti in generale), a quello severo ma non violento a quello più moderato (Partito della Pace – www.partidodelapaz.es) a quello laico (soprattutto sociale e politico) a quello indifferente (per esempio quello che si professa soprattutto in area balcanica). Insomma, i delitti contro la persona sono frutto di mentalità molto chiuse e paurose di perdere quello che hanno costruito sinora, ma per arrivare al delitto bisogna sentirsi sicuri e circondati da almeno un gruppo di supporto che giustifichi i tuoi atti. Per questo motivo ci deve essere un contatto almeno con una piccola società che la pensa come te e che ti aiuta. Se questa non è disponibile in Italia per compiere un atto criminoso, allora si torna in patria. Per esempio alcuni delitti d’onore vengono commessi in Turchia, poiché lì la società ancora accetta questo stile.
Vorrei far capire, comunque, che il sangue o la vita, per chi non ha molto da perdere, non è un valore cosi drastico e imperdibile. Inoltre le punizioni corporali sono ancora viste come una cosa accettabile ed anzi assolutamente positive per ottenere un beneficio per il punito o per la società, per questo motivo riceviamo moltissime email di donne che chiedono aiuto perché sono state incarcerate o maltrattate o punite fino alla morte o torturate (riferimenti a fondo pagina). E’ normale questa vita in altre società. Noi ci stupiamo, perché non capiamo che quello è un modo quotidiano di rapportarsi alle cose, in uno stile che si adatta a società chiuse o tradizionali.
Vi sono persone di cultura che stanno facendo molto discutere e alzano il livello della consapevolezza, per esempio ’Ala Al-aswani, il vincitore del premio letterario Grinzane-Cavour, che parla di omosessualità - un tabù in Egitto - oppure Laleh Bakhtiar, che ha provato a reinterpretare del Corano - altro tabù - per salvarne il contenuto dando maggiore libertà alla donna.
Costoro piacciono molto alla nostra società, che li vede vicini alla nostra apertura mentale, ma piacciono meno agli islamici, che gridano vendetta quando si vuol mettere in discussione principi chiave, come l’intoccabilità del testo sacro. Il caso della studiosa iraniana, comunque, è più complesso perché entra in gioco la sua minor competenza di lingua araba rispetto a un arabo ed inoltre il fatto che sia shiita. Però costoro come tutte le lettere che arrivano con richiesta di aiuto sono la vera risposta al fermento che sarà fruttuoso in futuro e al perché gli occidentali debbono ficcare il naso in terre lontane: perché ci sono persone che ti chiamano e ti senti coinvolto, e inoltre perché il mondo è di tutti.

Ribadisco comunque il fatto che alla base di tutti i nostri obiettivi e di tutti i nostri bei discorsi, ci dev’essere il raggiungimento della consapevolezza delle azioni, che avviene con la libertà di espressione e di ricerca e porta a una libertà più grande. Nella mia personale ricerca ho potuto imparare molte cose dal mondo islamico e tra queste la straordinaria fantasia e modernità che si assapora osservando le pubblicità dei prodotti o le sigle televisive. Un fulgido esempio in cui i corpi femminili e maschili, che in Europa sono ossessivamente nudi, depravati, anoressici e decadenti, non vengono usati e abusati, ma in cui si usano tutti gli altri miliardi di cose al mondo per dare spazio al sogno e all’immaginazione.

Fonti: Feminist Daily News Wire, Reporters Without Borders, Observatory for the Protection of Human Rights Defenders. United Nations Population Fund, Yemen: http://yemen.unfpa.org/
Yemen Times: http://yementimes.com
Fonti: Payvand Iran News, The Guardian, The New York Times, Sidney Morning Herald, The Associated Press, Reuters. Yanar Mohammed, presidente dell’Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq (OWFI), marzo 2007, www.safraproject.org
Non c’è onore nell’uccidere, di Milon Nagi (scrittrice, giornalista, attivista femminista, è stata la coordinatrice della campagna internazionale a favore delle donne irachene “Action for Abeer”), 7.6.2007, trad. M.G. Di Rienzo Human Rights Education Associates: Moroccan Family Code: http://www.hrea.org/moudawana.html National Democratic Institute: Morocco Democracy Online: http://www.moroccodemocracy.org/en/index.aspx

Di Raffaella Biasi  

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