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La ricerca della verità sul genocidio armeno


“Antonia Arslan racconta il suo romanzo” “La Masseria delle Allodole” di Atonia Arslan è più che un romanzo. E’ un tentativo di far emergere la verità sulla storia di un popolo.

A cura di Carlo Sala

Far conoscere il genocidio armeno ad opera degli “Unionisti” che avevano preso il potere nell’impero ottomano esautorando il sultano di allora. In anni pervasi da un clima di cambiamento per costruire una nuova nazione - quella turca - dove, secondo i dirigenti dei partiti al governo, non c’era spazio per le minoranze etniche. Un’idea che nel 1915 porterà allo sterminio di massa del popolo armeno. Gli uomini sono immediatamente uccisi, donne e bambini invece vengono deportati verso il nulla e pian piano fatti morire di fame, malattie e stenti.
Il romanzo della Arslan si intreccia con questi fatti storici. I protagonisti sono una famiglia armena. Due fratelli, Yerwant e Sempad. Il primo appena tredicenne lascia la casa paterna per andare a studiare in Italia al collegio armeno di Venezia. Il secondo rimane nelle terre dell’attuale Turchia. I due dopo molti anni, ormai cresciuti e con una famiglia, decidono di rivedersi. Yerwant inizia a progettare un viaggio che lo riporterà nelle terre natali. La prima parte del libro è a tratti festosa, fatta di preparativi e gioia per questo incontro. Nel frattempo vengono bloccati i confini italiani a seguito dell’entrata in guerra ed anche in Anatolia si respirano presagi negativi. Nella città dove vive la famiglia comincia in gran segreto l’operazione per lo sterminio degli armeni. Nella Masseria delle Allodole avviene la carneficina, e tutti gli uomini perdono la vita. I sopravvissuti vengono messi in marcia e deportati verso Aleppo. Inizia così per le donne e i bambini un lungo calvario in cui molti perderanno la vita. In questo viaggio assumono grande rilievo tre personaggi: Nazim il mendicante zoppo, Isacco il prete greco e Ismene la lamentatrice. Grazie al loro aiuto tre bambine e Nubar un maschietto vestito da donna, riusciranno a salvarsi e ad arrivare in Italia. “La masseria delle Allodole” è un romanzo di grande qualità. Una storia toccante a tratti cruda.la masseria delle allodole Un ulteriore passo per far rifulgere molte verità storiche ancora oggi negate.

Ora i fratelli Taviani hanno tratto un film da “La Masseria delle Allodole”, che sarà presentato in febbraio alla 57° edizione del Festival di Berlino. Una buona occasione per rileggere l’intervista che ho realizzato nel 2005 ad Anotnia Arslan, in occasione della presentazione del suo libro a Motta di Livenza.

Come e da quale esigenza è nato questo romanzo?
Il romanzo è nato quando finalmente sono riuscita a superare l’esitazione a farlo. Questa derivava dal fatto che io ho sempre scritto di critica. Era un salto, una sfida, qualcosa che mi intimidiva. Vi sono riuscita anche perché ho tradotto un grande poeta armeno Daniel Varujan. In qualche modo mi ha dato i profumi, i colori e gli odori dell’Anatolia. Allora ho fatto il passo di cominciare a scrivere, e le esitazioni sono scomparse. Ho visto che la storia si dipanava, quasi come a tessere un tappeto, lentamente ma con sicurezza.
Sebbene siano narrati dei crimini efferati, dalle sue parole non sembra trasparire odio…
Cosa vuole, quando si è alla terza generazione l’odio deve svaporare. E’ un sentimento terribile che avvelena anche chi lo prova. Io desidero giustizia, che venga finalmente riconosciuta questa grande tragedia, questo primo genocidio del ventesimo secolo. La ferita inferta a una popolazione che poi è scomparsa da quella regione. Finalmente si ricordi che gli armeni furono delle vittime e all’epoca - durante l’impero ottomano - ne morirono circa un milione e mezzo.
Nel romanzo attribuisce grande importanza alle donne, questo avvenne anche nella realtà durante il genocidio? La caratteristica del genocidio armeno è che il destino di uomini e donne viene separato. Gli uomini vengono uccisi subito nei modi più terribili. Nel mio romanzo alla Masseria, altrove in altri modi. Le donne con il peso dei vecchi, dei bambini e dei malati vengono avviate alla deportazione. Quel po’ di gente che si salva è dovuto al coraggio, alla resistenza, alla tenacia e all’astuzia delle donne.
Come ha riscoperto le Sue origini armene?
Questa è sempre una bella domanda. Le ho riscoperte perché un po’ alla volta man mano che passavano gli anni questo senso di ingiustizia terribile diventava sempre più forte. Poi ho conosciuto degli armeni e ho rivisto dei parenti. Un po’ alla volta è come tornata in vita questa parte di me che era rimasta in fondo sepolta da tutta l’educazione e la cultura italiana, in cui ero sempre stata immersa. Questo non contraddice la parte italiana, semplicemente la integra.
A Suo giudizio perché la Turchia non ammette questi crimini? è una lacuna storica impensabile…
Oggi c’è in Turchia un forte movimento di opposizione che chiede che si parli degli armeni. Però il governo è su posizioni di negazionismo deciso, per un malinteso orgoglio nazionale. All’epoca dopo il trattato di Losanna – negli anni successivi il ’23 - fu costruita la nuova Turchia sul fatto che delle minoranze e in particolare degli armeni e dei greci non se ne parlasse più, come se non fossero esistiti. Invece le cose ritornano. Oggi molti turchi si domandano chi erano i loro antenati, molti scoprono che erano armeni e li vanno a cercare. Le cose un po’ alla volta si stanno muovendo.
Una soddisfazione che ha avuto in questa sua battaglia per far emergere i fatti del 1915?
Ho conosciuto un editore turco, Ragip Zarakoln. E’ un uomo coraggioso che stampa libri sugli armeni, poi va in galera e poi torna fuori. I libri hanno un grande successo, vuol dire che la curiosità c’è. Ho conosciuto uno studioso, Taner Akςam, un turco che ha riconosciuto da tanti anni il genocidio e che combatte per questo. Insegna in Minnesota negli Stati Uniti perché era condannato a morte in Turchia, ora però gli è stata sospesa la pena. Spero che il libro di Taner Akςam, che è uscito in inglese l’anno scorso, sia pubblicato anche da noi.

NOTE BIOGRAFICHE
arslanLaureata in archeologia, è stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'università di Padova. È autrice di saggi pionieristici sulla narrativa popolare e d'appendice (Dame, droga e galline. Il romanzo popolare italiano fra Ottocento e Novecento) e sulla "galassia sommersa" delle scrittrici italiane (Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra '800 e '900). Attraverso l'opera del grande poeta Daniel Varujan - del quale ha tradotto (con Chiara Haiganush Megighian e Alfred Hemmat Siraky) le raccolte II Canto del Pane e Mari di grano - ha riscoperto la sua profonda e inespressa identità armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio (Metz Yeghèrn. Il genocidio degli Armeni, di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni). Infine, ha scritto il suo primo romanzo, La Masseria delle Allodole, perché non ha potuto farne a meno. Quei personaggi, quelle persone dal destino incompiuto, erano lì, e l'hanno chiamata. Hanno voluto essere ascoltati.

 

 

A cura di Carlo Sala

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