ABCVENETO(.COM)
Nu. 36, IV - 1 marzo 2007 -mensile telematico sul Veneto e Triveneto e cosa fanno i veneti dentro e fuori d'Italia

Andrea Zanzotto e Graziella Da Gioz “Un libro d’arte per narrare il paesaggio”


L’anno scorso ha compiuto ottantacinque anni e una lunga serie di iniziative ne hanno celebrato il compleanno.

Di Carlo Sala

Andrea Zanzotto è ormai considerato uno dei maggiori autori a livello internazionale. Difficile riassumere in poche righe la sua lunga carriera, che lo ha portato a numerosi riconoscimenti. Un’arte quella di Zanzotto che si è espressa in molteplici forme, dalla poesia dialettale e italiana, alla prosa, dalla saggistica fino al cinema.

Con il regista Fellini collabora al Casanova; nel 1980 a La città delle donne; nel 1983 a E la nave va. Inoltre, il poeta ha sempre mantenuto rapporti privilegiati con numerosi pittori. Molti di questi hanno omaggiato l’autore di Pieve di Soligo, illustrandone i versi. Grandi nomi dell’arte contemporanea: da Giosetta Fioroni a Mario Schifano, da Emilio Vedova a Giuseppe Zigaina. L’ultimo atto di questo fruttuoso connubio è il volume “Dal Paesaggio”. Da Gioz e ZanzottoRealizzato per le Edizioni del Tavolo Rosso dalla rinomata stamperia di Corrado Albicocco di Udine, presenta nove incisioni originali di Graziella Da Gioz, e alcuni versi di Zanzotto, tra cui un inedito. I due si conoscono e frequentano dal 1986, anno in cui nascono alcune illustrazioni pubblicate nella rivista parigina Noise edita dalla Galleria Maeght di Parigi. Nella postfazione del libro lo storico delle arti, Manlio Brusatin, scrive Perché il paesaggio è il ritratto di molta gente, visto che in esso un popolo continua a riconoscersi anche quando è sfigurato. Un appunto profondo che ci riporta a tante tematiche della Da Gioz. Artista che vive appieno un luogo, lo assimila e quando inizia a sentirlo suo lo traspone nei suoi lavori. Gli dà un’immagine, frutto della sua memoria e delle emozioni che la sua sensibilità d’artista ha percepito. Alberi, fiumi, colline, elementi rappresentati nella loro vitalità, più che nelle loro sembianze naturalistiche. Opere figurative, con degli influssi astratti. Non certo composizioni meramente descrittive, bensì alla ricerca di una semplicità compositiva, tutt’altro che banale. Un segno forte e delicato allo stesso tempo, mezzo ideale per suggestioni di una natura, che certamente è affine alle poesie del grande Andrea Zanzotto. Di seguito, un intervista che ho realizzato alcuni anni fa a Graziella Da Gioz. Da questa emergono in modo evidente la sue predilezione per il paesaggio e i rapporti con Andrea Zanzotto.

Lei Lavora per cicli, ricordo quelli dedicati all’acqua e al fuoco. Ora quale sta affrontando?
Sto continuando quello dell’acqua. Lo ho ampliato, in precedenza era solo sui fiumi. Ho lavorato sulla laguna e ultimamente sui laghi di montagna e sui tronchi portati dal fiume, all’interno di un ciclo ce ne sono altri. Per la mostra che recentemente ho realizzato a Roma, ho allargato le tematiche a tutto il paesaggio che mi sta intorno, una ricerca dell’identità. La laguna diventa un limite. Se guardo dalla mia terrazza vedo idealmente, il Campanile di San Marco e la laguna e dietro le Dolomiti con i prati, i boschi e i fiumi.

Cosa Rappresenta per Lei l’acqua?
L’acqua rappresenta un’ elemento di natura, ma anche un elemento di memoria. Il vissuto e le esperienze che ho avuto e ho continuamente con i paesaggi d’acqua. Fin da piccola, ho sempre amato la natura. Da adolescente guardavo il fiume da un punto particolare, dietro il Duomo di Belluno, dove andavo a meditare. Per me i fiumi sono dei luoghi di suggestione emotiva.

Come nasce uno Suo ciclo di opere?
Quando mi interessa un soggetto, lo penso, lo vivo, ci vado in mezzo. Abito in un luogo per un anno o due, ma non lo dipingo. Poi quando mi sembra di capirlo, comincio a lavorarci. Diventa un ciclo perché nel frattempo ho visto molti elementi. Quindi un soggetto non riesco ad esprimerlo in un solo quadro.

La Sua produzione è peculiare, figurativa ma che risente di influenze informali. Come definirebbe La sua ricerca?
Sono stata allieva di Vedova, quindi ho praticato l’informale per molto. Ma non sono mai riuscita ad accontentarmi delle pennellate di colore. Io ho bisogno di avere un’immagine, che mi faccia scattare una possibilità di dipingere. Un pretesto emotivo che fa nascere determinate pennellate, e dei colori. I miei lavori talvolta sono più descrittivi, ma cerco di renderli essenziali. Spazi ampi con pochi elementi. Amo molto Rothko, per il modo in cui sovrappone il colore. Strati di colore che rappresentano i vari stati della memoria.

Sente sulla Sua opere un’influenza della tradizione veneta?
Sì senz’altro. Io mi emozione ogni volta che vado alle gallerie dell’Accademia a Venezia e vedo Tiziano. Ho anche seguito un corso di restauro. Per me è stato molto importante vedere queste opere con un restauratore che spiegava come il pittore veneto sovrappone colore su colore. Una tecnica che porta a un’esaltazione del colore, ammirabile nell’arte veneta e in particolare nei quadri di Giorgione, Bellini e Tiziano.

Per quale motivo nella Sua produzione dà così rilievo a due tecniche considerate “minori” come l’incisione ed il pastello?
L’incisione è sempre stata per me affascinante, sin dall’Accademia. La ho amata per il suo bianco e nero. Il poter costruire immagini attraverso chiari-scuri e segni. Una ricerca quasi alchemica. Sperimentare e provare senza essere mai certi di come sarà l’opera. E’ un processo dove l’immagine risulta solo alla fine. Questo mi affascina moltissimo. Inoltre apprezzo molto i grandi incisori del passato come Rembrandt e Tiepolo. L’incisione è stata molto importante anche perché mi ha aiutato a dare una svolta della mia opera. Mi ha consentito di lasciare il mio periodo astratto. Per un anno ho lavorato quasi solo ad incisione, perché mi permetteva di creare dei paesaggi quasi astratti. E’ stata un punto di transizione. Amo invece lavorare con il pastello perché è immediato. Non devo aspettare che si asciughi. E posso – fino a un certo punto – lavorarci sopra. Quindi ho una maggiore possibilità di studiare le immagini.

Per Lei è stato importante l’incontro con il poeta Andrea Zanzotto…
Per me Andrea Zanzotto è un maestro. E’ un punto di riferimento. Lui pur essendo veneto è anche internazionale. E’ riuscito attraverso il paesaggio, la ricerca dell’identità e della tradizione a rinnovare il linguaggio. A far suscitare interesse per il suo lavoro da tutto il mondo. Io trovo che anche in pittura vi è una ricerca “linguistica”. In lui, che è persona attenta e curiosa, ho trovato un interlocutore acuto.

Zanzotto e Da GiozCon quali criteri giudica una Sua opera? ne è sempre soddisfatta?
Non sono quasi mai soddisfatta. Nella mia ricerca, qualche volta amo l’azzardo. Cerco di buttare giù un’immagine che mi sono costruita dentro. L’insoddisfazione che mi porta a realizzare variazioni attorno ad un soggetto, è dovuta all’impossibilità di fermare l’idea in un’unica immagine. Modifico un colore, una forma, una pennellata o una parte della composizione per vedere se quello che voglio dire diventa più efficace. E’ un continuo pensare in avanti.

Che cosa Le ha dato l’attività di insegnamento?
Ho sentito Argan che parlava della morte dell’arte e alcune teorie sulla fine della pittura. Per questo ho dovuto pormi delle domande per insegnare: “che cosa è il disegno? cosa si può insegnare su di esso a ragazzi di 14/16 anni?”. Domande a cui ho dovuto dare delle risposte. Devo incuriosire i ragazzi, far emergere la loro creatività ed allo stesso tempo fargli capire che la pittura è una disciplina che va praticata ogni giorno. Insegno ai miei ragazzi anche a guardare, ad osservare tutto quello che gli sta intorno. C’è una frase di Kokoschka nella sua autobiografia, che recitava:”Bisogna saper guardare e pensare con la propria testa”. Un sogno artistico… Ogni volta che faccio una mostra, per me diventa un sogno. La penso ed immagino, e vorrei che coinvolgesse chi la guarda.

Di Carlo Sala  

contatti: info@abcveneto.com
B&B Appiani36 a Treviso
capopagina