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Il velo islamico

Di Raffaella Biasi

La questione del velo islamico ritorna ciclicamente sui giornali, perché le amministrazioni devono continuamente occuparsene sia per motivi religiosi che per motivi di sicurezza. Il Prefetto di Treviso lo scorso ottobre ha reso lecito il burqa perché “espressione della libertà di fede”.

L'autrice con un'amica velata
Raffaella Biasi con un'amica

Invece le  amministrazioni precedenti lo hanno vietato in base alla legge 152 del 1975, e all’articolo 85 del  Regio Decreto 773/1931, ossia questioni di pubblica sicurezza. Dal 2006 in Inghilterra è possibile entrare in sala operatoria con un camice verde con copertura totale, insomma, la questione del velo si amplia in sempre nuove direzioni.

Si è discusso a lungo sul valore simbolico del velo: ci piace pensare che ciò che viene velato crea maggiore attrazione e desiderio. In sintesi il velarsi serve a separare, ma nel contempo ad identificare bene i due sessi. Esso invita a non mostrare alcun attributo sessuale femminile fuori dalle mura domestiche. Al giorno d’oggi viene usato soprattutto per questioni politiche e di identità. Infatti esso serve non tanto per sembrare ‘più modeste’, come vorrebbe la religione, ma per affermare fortemente e visibilmente l’appartenenza alla comunità dei credenti musulmani e viene utilizzato dagli integralisti per ‘risvegliare’ e richiamare all’Islam tutti i tiepidi. Per chi è emigrato, il velo aiuta a sentirsi parte di un gruppo importante e visibile e talvolta può servire a sentirsi vicino alle proprie radici. In realtà la questione del velo è più un’usanza che una Legge, perché nel Corano il velo è citato una sola volta e per identificare un comportamento davvero differente dai problemi di ora (Sura della Luce XXIV, v. 31 e sura delle Fazioni , XXXIII v. 59).
Dai versetti si evince che l’ammonimento andava a quelle mogli del Profeta che erano un po’ troppo ardite. Ma ai tempi del Profeta le donne possedevano solo un mantello ‘tuttofare’ o si coprivano il seno con un velo, ma generalmente non erano così velate. Comunque la traduzione di khumurihinna (i mantelli loro) non è chiara e quindi sono sorte differenze arbitrarie sui tipi di copertura da usare.
Altrimenti perché ognuno userebbe dei veli-copertura  diversi? Si potrebbe paragonare i tipi di veli (hijab, chador, burqa, niqab, ecc.) dei vari Paesi islamici ai nostri cappellini, per vedere quante fogge, colori e modi di metterseli esistono, e ciò significa che anche se si può costringere la femminilità e la civetteria a nascondersi, in realtà la sostanza della natura umana non si imbriglia. Dal Corano quindi, più che una norma, è stato preso un ‘concetto’ che è servito a codificare dei comportamenti, delle tradizioni (sunna).
Sono i movimenti radicali islamici attuali che vogliono dare segnali tangibili di islamicità e quindi invitano le donne a portare il velo. Nessuno è contrario ad un fazzoletto messo in testa, specie se non vuole essere una provocazione religiosa. Invece tutti auspicano che l’incontro con l’Islam porti anche l’Occidente a ripensare il proprio modo di vedere la sessualità, che ormai in Europa è un colabrodo di comportamenti perversi e provocatori, un vero sfacelo senza regole e senza senso  di responsabilità.
Anche la stessa comunità musulmana è divisa sulla questione del velo e la maggioranza non lo ritiene obbligatorio, ma ci sono sempre delle fazioni che chiedono comportamenti estremi. Non mancherò qui di riportare l’opinione di alcuni musulmani favorevoli alla copertura totale, i quali  dicono che le donne che dedicano loro stesse solamente a Dio e al marito sono solitamente di cultura elevata e sono sommamente apprezzabili. Le mie esperienze mi dicono che si tratta si un desiderio indotto e non di una scelta consapevole.
Detto questo ci troviamo già davanti a molte autorizzazioni statalizzate ottenute dai musulmani, per esempio la macellazione secondo il rituale islamico o l'assistenza religiosa all'interno delle carceri e degli ospedali.
Però la richiesta di farsi fotografare nei documenti di identità con il foulard islamico o il girare completamente coperte, non si confà alla nostra società, poiché i tratti del volto non sono  riconoscibili e qualunque bandito potrebbe nascondersi dietro queste coperture. Inoltre questa pratica di indossare il velo non è assolutamente riconosciuta come  importante da tutti i paesi islamici. Come ho già detto, viene utilizzata per fare propaganda religiosa e politica. È la tendenza radicale islamista che ha imposto questo uso negli ultimi tre decenni.
 Vorrei concludere affermando che, in generale, è meglio che in materia i diritto familiare non si debba incoraggiare la nascita di una sorta di Diritto parallelo stabilito in base alla confessione religiosa dei cittadini o al loro paese di provenienza, proprio perché le leggi a cui siamo giunti sono un'acquisizione dalla quale la società civile e lo Stato Italiano non possono recedere. L ’incontro delle culture deve rappresentare un'opportunità per favorire un processo di  ripensamento sugli estremismi delle culture stesse. L’islam è una religione che ha molto da insegnare e da dare, ma che deve fare i conti la modernità e con l’incontro delle altre religioni o società a cui si collega.

Di Raffaella Biasi

IV anno,  2007
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