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IV anno,  2007
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Integrazione

Di Raffaella Biasi

Un tempo si parlava di integrazione dando però a questo temine, per errore, un nascosto significato di assimilazione. Ossia: tu vieni in Europa, io ti ospito e quindi tu devi assomigliare a me, assimilarti alla mia natura oppure torni a casa. Con gli anni e col cambio di millennio, non solo a causa delle Torri Gemelle, ma anche alla massiccia immigrazione quotidiana, tutti gli studiosi hanno dovuto riflettere sull'argomento e con loro anche i politici e, a cascata, tutta la società il popolo. Osservando i vari modelli di integrazione ( assimilazione, melting-pot, salad bowl, ecc.) si è dedotto che nessuno di loro è perfetto, ma tutti hanno dato luogo ad alcuni problemi che si sono ripetutti in tutti i casi. A questo punto si è cercato di riflettere sui problemi comuni per risolverli. Uno di questi è dato dalla massiccia concentrazione di persone della stessa cutura nello stesso quartiere. In questi casi, succede come nelle Little Italy di una volta, o nei quartieri cinesi o nelle Casbah, cioè la comunità di controllo di origine è piu forte ancora delle leggi del Paese. Per cui si è parlato spesso di "Stato nello Stato", ossia di piccole comunità o staterelli in cui la giustizia viene amministrata dal capo di turno e la comunità è d’accordo perchè ha già delle leggi di riferimento dal Paese di origine e quindi non si trova spaesata. Tutto questo è amplificato quando si parla di islam, perchè l'islam accomuna tutte le nazioni sotto uno stesso tetto e fa sì che tutti si sentano fratelli. La comunità è quindi transnazionale ed è tenuta insieme da un'etica di riferimento. Dunque, quando una piccola città nella città viene tenuta saldamente unita da Leggi morali, si sente ancor più salda di quando è collegata da Leggi posticce, spesso esterne al nostro codice morale. E le leggi si accettano sia per le questioni di vita o morte che per piccole cose come i comportamenti sociali, per cui in un qualsiasi quartiere che ingloba un'altra cultura, se lo vai a visitare ti devi comportare come fanno in quella cultura per essere accettato. Per risolvere questi problemi, che per esempio si sono presentati anche lo scorso anno nelle banlieu francesi, si è pensato di frazionare le varie etnie in località diverse per non creare città-stato. Rispetto all'integrazione bisogna dire che integrarsi in un sistema non vuol dire rinunciare ai propri valori, l'importante è comunque seguire un codice 'morale', e una scala di valori a cui tutte le culture possono far riferimento. Certo è che non è facile scegliere una scala di valori, ma sicuramente quella di mettere il denaro come motore delle azioni umane ha deformato la realtà e la ha corrotta ai massimi livelli. Inoltre le questioni dell'integrazione, specie negli Stati di confine, non dipendono dalla volontà dei cittadini di voler integrare i nuovi arrivati, ma dalla volontà e dalla capacità dei nuovi immigrati di volersi integrare. Spesso l'immigrato parte dal proprio paese di origine con l'idea di tornare vincente e quindi non ha nessuna intenzione di integrarsi, sfrutta solamente le parti piu convenienti per lui. Inoltre la sua comunità costruisce una barriera difensiva dei propri codici morali. La città dove arriva accoglie l'immigrato, ma non gli INSEGNA bene come fare per integrarsi, ma semplicemente come fare un lavoro di manovalanza. E questo è il primo e più grande errore, a mio avviso, che le amministrazioni delle città possono fare per vedere i loro cittadini disuniti e insoddisfatti. Invece se si insegnassero fin dai primi passi i rudimenti del vivere sociale nel paese di accoglienza la cosiddetta integrazione risulterebbe meno traumatica.  

Di Raffaella Biasi

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