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Un pomeriggio di studio per una vita lunga un secolo: Ernst Jünger presentato a Venezia lo scorso 18 novembre

1 dicembre 2013

Di Alberto Leoncini





«Il vero scrittore, come la vera ricchezza, si riconosce non dai tesori di cui è in possesso, ma dalla sua capacità di rendere preziose le cose che tocca. Egli è pertanto simile a una luce che, invisibile, riscalda e rende visibile il mondo».

Scrittore, intellettuale e memoria storica di un secolo, Ernst Jünger (1895-1998) rappresenta, con la sua parabola intellettuale e umana, virtù e contraddizioni del Novecento, quel secolo “breve” che è stato “liquidato dal liquido” per giocare con due noti luoghi comuni e, nonostante questo, fa continuamente capolino come un creditore con il quale si hanno dei conti in sospeso. Pensatore controverso ed enigmatico, Jünger viene oggi raccontato e riscoperto da una poderosa biografia di Heimo Schwilk, dal titolo Ernst Jünger. Una vita lunga un secolo per i tipi di Effatà proposta al pubblico italiano con la traduzione dal tedesco di Domenico Carosso.
Oltre che dalla lettura del testo, una utile strenna natalizia, l’edizione fa capire molto di Jünger anche attraverso l’indice dei nomi e l’apparato iconografico che bene chiariscono quanto fitti siano stati i rapporti di questo autore con quanto di meglio l’intellettualità europea sia stata in grado di esprimere. Un’importante occasione per riscoprire il profilo jungeriano è stata la presentazione/seminario a Venezia, lo scorso 18 novembre, scandito da letture recitative del testo compiute da Michela Manente (http://www.michelamanente.it)
Più voci hanno inserito questo vero e proprio avvenimento editoriale, definito quasi un romanzo per mole e fluidità narrativa, nel percorso di rivisitazione scientifica che vede in Jünger una sorta di perno attorno al quale ruotano centrali direttrici culturali: il rapporto intellettuale/potere, il rapporto fra individuo e tecnologia e gli sconvolgimenti politico/economici che si sono susseguiti nel Novecento solo per citare alcuni degli stimoli emersi nel corso degli interventi.
Dalla “sua” Germania al centro, in ogni senso, del vecchio continente Jünger osserva e interiorizza l’evolversi della Storia, quella nozione tanto cara alla cultura tedesca che, come nessuna, è in grado di astrarre gli universali anche nell’età contemporanea, in cui si vorrebbero tramontati. Uno su tutti la nazione, come ha sottolineato Francesco Coppellotti, tema che occupa il ceto intellettuale in tutto il vecchio continente alle prese con un progetto federativo ad oggi in profonda crisi, e che in Germania fa i conti con una spinta egemonica mai sopita e responsabilità storiche che ancora ipotecano la serenità del dibattito culturale e politico. Un fiume carsico che attraversa l’intera opera quello di accettare o liquidare la nazione, prematuramente dichiarata defunta dall’impetuoso incedere dell’omologazione globalista. Certo questi esiti non sono stati compiutamente vissuti da Jünger ma le tante cesure d’epoca che hanno attraversato la sua vita (due conflitti mondiali, lo “stato di eccezione” fra l’ordine di Weimar e la caduta del regime hitleriano, le svariate modificazioni territoriali del suo Paese, i mutamenti dell’industria e nei rapporti di produzione, solo per citarne alcuni) assieme alla concezione organicista dell’esistenza e della creazione artistica ne fanno un vero aedo del contemporaneo.

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Di Alberto Leoncini



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