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Ztl, la sicurezza, la disciplina e le porte chiuse sul muso. De Andrè quindici anni dopo (11/1/1999-11/1/2014)...

6 febbraio 2014

Di Alberto Leoncini





Penso che a chiunque sia capitato di leggere dei frequentissimi casi in cui gruppi di genitori e/o di studenti si sono dati da fare per ridipingere e sistemare aule scolastiche fatiscenti da sempiterni tagli e prevaricazioni sull’istruzione pubblica.
Non di rado ciò avviene con l’espresso sostegno degli enti pubblici, in special modo i comuni (cfr. tra i tanti: scrivi al tuo comune)
Politicamente è un gesto discutibile perché si tratta di una presa d’atto di un vero e proprio fallimento delle strutture pubbliche, anzitutto statuali, deputate a garantire diritti essenziali non solo in un ordinamento democratico- costituzionale ma, ancor di più, in un sistema di capitalismo maturo (la famosa “economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo ”, you know??).
A parte queste considerazioni, va detto che, sotto la prospettiva dell’ente pubblico, questi gesti integrino un certo incremento patrimoniale, sia pur indiretto generando infatti un risparmio di costi. Non ho trovato, ma potrebbe essere anche deficienza mia, pronunce giurisprudenziali che abbiano in qualche modo stigmatizzato o, peggio, condannato il fenomeno ma, naturalmente, ne darò pronta notizia se mi saranno segnalate. Ciò ci interessa per commentare la vicenda relativa allo spazio ex-FILT, da tempo abbandonato e situato in una zona critica della città dovendo, a mio avviso, inserirsi a pieno titolo in quella sicurezza fatta di contenuti di cui ha parlato, in modo totalmente condivisibile il sindaco Manildo subito dopo la vittoria alle amministrative della scorsa primavera (cfr. al minuto 1,00 http://www.youtube.com/watch?v=DARUv9InSwQ ), per questo mi sembra urgente che la proposta di ZTL e Italia Nostra (http://italianostra-treviso.blogspot.it/2013/12/italia-nostra-partecipa-in-modo.html ) sia perseguita, tanto più che il collettivo si è reso disponibile a restaurare e rendere abitabile lo stabile e poi “donare” tali migliorie al Comune, quindi alla collettività, non appena sia agibile la “casa delle associazioni” a cui l’amministrazione sta lavorando fin da quando si è insediata. Devo poi dire, a margine, che mi sono sentito profondamente orgoglioso, essendo da anni impegnato a costruire in Italia e all’estero una proposta politica sovranista, di avere a Treviso un’aula studio, ricavata nell’ex-FILT appunto, dedicata ad Alexandros Grigoropoulos, lo studente ucciso ad Atene nel 2008 durante i primi scontri causati dall’austerity, che avremmo ben presto iniziato a conoscere anche noi. Era un segno bellissimo di scambio politico fra due popoli, quello italiano e quello greco, finiti sotto lo schiacciasassi del pensiero unico liberista e delle schifose politiche della troika. Torniamo tuttavia a far parlare leggi e sentenze, come già abbiamo fatto altre volte(cfr. http://www.abcveneto.com/pagine/ott13/art/alberto-leocini.html; http://www.abcveneto.com/pagine/giu13/art/leoncini-alberto.html e http://www.abcveneto.com/pagine/feb13/art/alberto-leoncini.html).
Auspico che si dia rapido corso, attraverso un bando, al progetto presentato da ZTL e Italia Nostra perché altrimenti mi sembra si lambisca il confine del danno erariale, tanto più che, appunto, non vi era, a quanto è dato sapere, nessun progetto di riqualificazione dell’area in programma da qui a breve- naturalmente rettificherò prontamente ove le cose stessero diversamente- e i problemi statici sembra siano superati stando alla perizia dell’ing. Scarpa che dubito, francamente, voglia prendersi responsabilità di varia natura (professionale, penale, civile etc…) per un’attestazione mendace senza nemmeno corrispettivo. Tanto detto, ho avuto modo di imbattermi in un arresto molto recente della Corte dei Conti della Sardegna, in cui la concessione di uno spazio pubblico in cambio della manutenzione e delle migliorie può costituire corrispettivo per il godimento del bene stesso e non prefiguri, quindi, danno erariale. Ragionando meccanicamente bisognerebbe quindi dire che non concedere il bene, lasciandolo all’abbandono, rinunciando alle migliorie sia, effettivamente, danno erariale. Mi sembrerebbe un’interpretazione un po’ estrema, certo è che mi sembra ci si trovi in una di quelle classiche ipotesi-limite in cui la qualificazione da dare a un fatto muti a seconda della sensibilità del giudicante e al modo con si forma il suo convincimento nel contraddittorio processuale. Se volesse garantirsi sotto ogni profilo il Comune dovrebbe chiedere la prestazione di una cauzione bancaria o assicurativa, oltre, ovviamente, alla costituzione formale in associazione di ZTL. Staremo a vedere i bandi quale contenuto avranno.
Tanto premesso riporterò brevemente alcuni passaggi della già citata sentenza (il testo integrale può essere scaricato qui https://servizi.corteconti.it/bds/ inserendo le coordinate sent. 234/2013 Corte dei Conti sez.ne Giurisdizionale per la Regione Sardegna, 16 settembre 2013)
Qui alcuni passaggi della difesa del preposto cui era contestato il danno erariale:
“il dirigente ha contestato l’addebito relativo alla gratuità della concessione del bene comunale, giacché l'obbligo di pagare un canone era sostituito dall'onere a carico del concessionario di effettuare molteplici prestazioni a favore dell'amministrazione comunale. Ha anzi prospettato un vantaggio economico per il Comune concedente, in ragione del risparmio in termini di spese di gestione, custodia e manutenzione del sito, raggiungendo nel contempo lo scopo di consentire la visita del monumento.[…] Le numerose prestazioni a carico della associazione affidataria erano estranee alle spese gestionali ordinarie e ai compiti di ordinaria manutenzione, rappresentando attività che, altrimenti, avrebbero dovuto essere svolte dal Comune, con accollo dei relativi costi. […]La scelta operata dal Dirigente comunale sarebbe il risultato di una ragionata e ponderata comparazione dei costi che avrebbe dovuto sopportare l’Amministrazione per la custodia del bene stesso, oltre a quelli necessari per assicurare una sua effettiva fruizione pubblica […]Con riguardo al profilo della antigiuridicità della condotta, la difesa obietta che non sussiste una norma che ponga uno specifico divieto di concessione in uso gratuito di beni di proprietà del Comune, con l’onere per l’Ente di evidenziare le finalità pubblicistiche che intende perseguire con tale contratto. […] La gratuità solo formale della concessione in argomento, caratterizzata invece dalla sostanziale onerosità delle prestazioni poste a carico del concessionario, avrebbe comunque consentito la cura e la conservazione del bene, nonché la sua fruizione in assenza di spese per il Comune e per gli utenti.
E vediamo ora qualche passaggio della motivazione della Corte dei Conti: “In proposito, occorre preliminarmente osservare che la normativa in materia di concessione di beni pubblici prevede espressamente l'affidamento in concessione, anche gratuita, o in locazione a canone ridotto di beni immobili demaniali e patrimoniali, destinati ad uso diverso da quello abitativo. In questi termini, dispone il D.P.R. 13 settembre 2005, n. 296 (che ha abrogato la legge n. 390 del 1986 e successive modifiche), agli artt. 9, 10 e 11, con riguardo a particolari categorie di immobili (tra cui quelli d’interesse culturale) ed a specifiche tipologie di soggetti (organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale) … per finalità di interesse pubblico connesse all'effettiva rilevanza degli scopi sociali perseguiti in funzione e nel rispetto delle esigenze primarie della collettività e in ragione dei principi fondamentali costituzionalmente garantiti, a fronte dell'assunzione dei relativi oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria. […] Nella convenzione stipulata con l’Associazione e approvata con il provvedimento in esame – il quale prevede espressamente che la concessione del sito non comporta oneri di alcun genere per l’Amministrazione Comunale – viene stabilito che il concessionario è obbligato: - a garantire l’apertura al pubblico dell’edificio della Chiesa Aragonese nei giorni e per le ore previsti dal calendario concordato con il Servizio Cultura del Comune, nonché in occasione di manifestazioni culturali, e a presentare trimestralmente allo stesso Servizio una dettagliata relazione sull’attività svolta e sul numero dei visitatori (art. 2);
- a gestire gli impianti a servizio dei locali concessi, assicurando la piena efficienza e funzionalità degli impianti stessi e assumendo a proprio carico la relativa responsabilità sia nei confronti del Comune che dei terzi (art. 5, c. 1);
- a farsi carico di tutte le spese occorrenti al funzionamento della struttura: fornitura dell’energia elettrica, riscaldamento, acqua potabile, pulizia, rimozione dell’immondizia, e ogni altra spesa necessaria all’esercizio stesso e, infine, a dotarsi di arredi e attrezzature consone al sito e previa approvazione del Servizio (art. 5 c. 2 e 3).
l’obbligo di pagare un canone era sostituito dall’onere a carico del concessionario di effettuare molteplici prestazioni a favore dell’amministrazione comunale, gran parte delle quali erano estranee alle spese gestionali ordinarie e ai compiti di ordinaria manutenzione, rappresentando attività che, altrimenti, avrebbero dovuto essere svolte dal Comune, con accollo dei relativi costi.[…] E’ viceversa coerente con la realtà, risultante dagli atti di causa, l’assunto della sostanziale onerosità della concessione. […] Si è detto in precedenza che, in ragione delle sue peculiarità storiche e culturali, il monumento denominato Chiesetta Aragonese non è affatto assimilabile ad immobile suscettibile di redditività e/o da destinare a scopi economicamente lucrativi, rilevando piuttosto finalità di fruizione pubblica. E’, dunque, fuor di dubbio che con la sua concessione d’uso il Comune ha conseguito (o si è ripromesso di conseguire per la durata della concessione) un risparmio in termini di spese di gestione, di custodia e di manutenzione del sito, specie con riguardo alle spese del personale necessario per il compimento di tali attività, raggiungendo nello stesso tempo lo scopo di consentire la visita del monumento e di impedire atti vandalici e un nuovo degrado del sito […] La forma concessoria adottata si è rivelata funzionale a garantire la cura del bene, a consentirne la fruizione pubblica e a realizzare iniziative culturali e sociali, senza alcun onere per le finanze dell’Ente. […] Si può, pertanto, fondatamente ritenere che la concessione di cui si tratta, ancorché conferita a titolo formalmente gratuito, non sia stata priva di congruo corrispettivo per la parte pubblica, in quanto sono stati espressamente previsti a carico del concessionario servizi e attività di utilità pubblica, e obblighi di gestione e di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile sicuramente comportanti oneri quantificabili anche monetariamente.[…] Sotto questo profilo, nell’affidamento della gestione della Chiesetta Aragonese all’Associazione culturale ISARDI non è ravvisabile alcun danno patrimoniale per l’amministrazione comunale, atteso che, come si è detto più volte, l’amministrazione comunale, da un lato, ha potuto soddisfare l’interesse alla fruizione pubblica del sito e, dall’altro, ha conseguito l’altrettanto rilevante obiettivo della gestione, della vigilanza e della tutela del monumento, delle strutture annesse e dell'area verde circostante, senza onere alcuno a carico del bilancio del Comune.”
Specifico che politiche di riuso dei beni privati, non solo pubblici, quindi, abbandonati sono all’ordine del giorno non solo in posti in cui ‘fa tanto chic’, come Berlino, Londra o New York, ma anche a Napoli. Segnalo in questo senso quanto dichiarato da Luigi De Magistris sugli spazi abbandonati (cfr. al minuto 29,00 http://www.youtube.com/watch?v=eYVKJmuVllA )
In tutto ciò, come nel più classico dei copioni, sono intervenute sia Questura che Prefettura. La prima con un nuovo ‘foglio di via’ a carico di uno degli aderenti al collettivo. Rimando a un qualsiasi manuale universitario di diritto penale le posizioni sostanzialmente unanimi della dottrina penalistica su questo tipo di misure: in realtà per comprenderne confliggenza con il dettato costituzionale non occorrono grandi studi, tuttavia ne voglio sottolineare, ancora una volta, il fine eminentemente politico: nessuno dubita che la prevenzione sia un bene imprescindibile per ogni collettività, tuttavia, come ben osserva Bricola, per chi non lo sapesse e per citare Alberto Bagnai, non ‘uno de passaggio’ ma una delle più raffinate menti penalistiche del secondo dopoguerra, si tratta di un apparato normativo attraverso il quale ‘lo Stato si sottrae ai suoi compiti sociali e di riforma’ (Bricola F., Forme di tutela ante delictum, Milano, 1975). Tali considerazioni valgono ancor oggi, perché i soggetti destinatari sono riprodotti nel nuovo Codice Antimafia (dlgs.159/2011) riprendendo ampiamente la struttura della previgente legislazione. Dà già da pensare sul livello dei nostri governanti il fatto che si risponda, in sede di ‘riforma’, con criteri pressoché identici a quelli di cinquant’anni fa, sempre per quella famosa retorica nuovista sbandierata in ogni dove, senza dimenticare che buon senso vorrebbe che in un ‘Codice Antimafia’ ci si occupasse di antimafia, non di delinquenza comune, per il semplice fatto che le risposte di profilassi criminale dovrebbero essere diverse. A tacere del fatto che si tratti nella formulazione di una norma sostanzialmente ‘in bianco’ (all’interno della quale, cioè, possono essere fatte rientrare le più varie condotte). Quello che nel caso che ci occupa fa sorgere non poche perplessità è, quantomeno, l’esorbitare del provvedimento dalla proporzionalità amministrativa. Tale principio (art.97 Cost.) deve improntare l’azione di ogni amministrazione, tenuta a svolgere le proprie valutazioni discrezionali e a operare per la cura dell’interesse pubblico in modo da creare il minor sacrificio possibile alle ragioni e alla sfera giuridica del privato (a proposito di privato…). Ora, tenendo presente che la tutela verso l’ordine pubblico (cfr. Corte Costituzionale 2/1956 disponibile su www.cortecostituzionale.it ) debba essere intesa come possibilità per gli altri consociati di veder garantite le proprie libertà fondamentali equiordinate, mi sembra che la stessa collettività trevigiana possa darsi delle risposte sulla ragionevolezza e congruenza di tali provvedimenti rispetto a un ‘pericolo’ per quei beni di rilevanza costituzionale, che mi sembra, francamente, piuttosto aleatorio in relazione alle condotte fin ora tenute dal collettivo ZTL. Detto altrimenti, si può anche disapprovare ciò che gli aderenti a ZTL fanno, e comunque eventuali sanzioni saranno comminate dall’autorità giudiziaria, ma la compressione preventiva in assenza di contraddittorio, visto che condanne definitive non mi risulta ce ne siano, di diritti fondamentali, come quello di movimento, deve essere giustificata dalla messa in pericolo di beni di pari importanza in capo alla collettività di riferimento.
Potrebbe apparire un paradosso, ma francamente mi ha lasciato ancor più sbigottito l’atteggiamento della Prefettura: a meno di una settimana dall’insediamento del nuovo prefetto è stato convocato il ‘tavolo’ per la sicurezza, alla presenza di sindaco e vicesindaco, naturalmente con ampia grancassa mediatica. Tutto ciò mentre a Susegana, area che, a quanto mi consta, si trova nel territorio di competenza della Prefettura di Treviso, l’Electrolux minaccia di chiudere o ridimensionare quali/quantitavamente il proprio stabilimento. L’inerzia del Governo centrale ha provocato una reazione sdegnata del presidente Zaia (non certo ‘di sinistra’, mi pare…) e della presidente Serracchiani (giunta a domandare le dimissioni del ministro Zanonato, del suo stesso partito!), mentre il sindaco di Susegana è stato costretto ad attirare l’attenzione con il famoso: “Adesso mi sono rotta i coglioni!” (cfr. http://www.youtube.com/watch?v=GbfJQBoPXEI ). Sinceramente, come gesto di insediamento credo avrebbe legittimato l’autorità governativa agli occhi della collettività un gesto pubblico di vicinanza, interessamento e apertura verso il dramma di centinaia di famiglie che da mesi lottano contro lo strapotere e la tracotanza di una multinazionale che, forte dell’afasia delle istituzioni, fa il bello e il cattivo tempo. Pensare di guadagnare il rispetto e la legittimazione con mezzi più o meno muscolari mi sembra un vicolo cieco, e in questo senso credo che di esempi storici se ne possano ricordare a iosa. Questo, si badi, lo dice uno che è da sempre impegnato nel dare nuove ragioni teoriche alle istituzioni e alla sfera pubblica sia a livello centrale che periferico e che avverte questa esigenza come un’urgenza irrinunciabile alla luce dell’aggressione in corso da parte delle forze economiche alle ragioni stesse della convivenza collettiva. Giusto per specificare che non ho nessuna fascinazione ‘anarchica’. A oltre un mese dall’insediamento sono state diffuse solo delle anodine dichiarazioni che, in buona sostanza, riducono il problema Electrolux a una faccenda di ordine pubblico (cfr. http://www.youtube.com/watch?v=KQcpmIDgwR4). Con rispetto parlando, alla luce di quanto già detto, mi sembra poco per una vicenda che sta riempiendo le cronache nazionali per la scientifica e deliberata aggressione in atto alle ragioni del lavoro e dei diritti, pari per significato di sistema solo a quella compiuta da Marchionne con i contratti separati in deroga a partire da Fabbrica Italia Pomigliano.
A parte tali amare considerazioni, ricordo che già prima di Natale una delegazione di dipendenti Electrolux si era recata sotto la Prefettura per richiamare l’attenzione sulla vertenza (cfr. http://www.youtube.com/watch?v=JmECjXSkiwI ).

Di Alberto Leoncini



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