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Educazione per l’integrazione, il caso Tunisia.  

17 gennaio 2018

Raffaella Biasi




Raffaella Biasi Raffaella Biasi, esperta di mondo arabo scrive: Quando parliamo di migranti, soprattutto nordafricani, il commento che mi sento ribattere maggiormente è di paura e di razzismo, velato da una sorta di buonismo politicamente corretto, ma sostanzialmente legato ad un pregiudizio derivante dalle formule che i mass-media ci presentano, ossia collegato alla malavita e alla clandestinità. Oppure legato al comportamento dei nuovi cittadini italiani, quelli che non rispettano le regole adottate in Italia. Ma si parla quasi solo al negativo ultimamente, direi al 90%, e questa distorsione mass mediatica fornisce una visione riduttiva della realtà.
Durante alcuni recenti viaggi in Tunisia, nel 2017/18, mi sono fatta un’idea personale, slegata dai pregiudizi comuni e , confrontandomi con vari livelli socio culturali della popolazione, ho notato quante belle cose potremmo noi imparare se tenessimo gli occhi più aperti anche sulle cose belle. Tutte le nozioni che riguardano il rapporto con la natura e quello tra tra natura e salute, per esempio, sono una realtà che noi abbiamo qui perduto, o tutta la bellezza e la grazia delle decorazioni , che nel nostro ingrigito mondo occidentale sono diventate un ricordo.
Nell’incanto dei viaggi ho visto tante bellezze, ma anche tanta malavita ed arretratezza, causata dalle costrizioni e dalla sottomissione di tutti i popoli nordafricani a delle dittature che non permettono un vero sviluppo socioculturale e costringono milioni di persone a spendere una vita indegna ed a migrare forzatamente. Ed è chiaro che qui arrivano i più disperati, che rimangono spesso disperatamente prede di una stessa casta sociale ai margini . Mi focalizzo ora sui Tunisini in Italia.
Senz’altro dobbiamo prendere atto che ci sono 2000 giovani tunisini nelle prigioni italiane (Leaders N 71 Aprile 2017), i quali sono e saranno i più esposti ai rischi di radicalizzazione, marginalizzazione e sottocultura, ma ci sono anche tantissime buone e brave persone che non riusciamo mai a mettere in evidenza come artefici attivi della nostra Italia ormai multiculturale.
Le rapporto annuale del ministero del lavoro e politiche sociali Italiano, nel mese di dicembre 2016 (www.integrazionemigranti.gov.it/.../PaesiComunitari...COMUNITA_2016/RC_TUNIS) indica che i Tunisini soggiornanti regolarmente en Italia alla data di dicembre 2016 sono 118.821 di cui 62,6% uomini e 37,4% femmine di cui 37.072 sono minori. Senza parlare dei 5000 tunisini che qui hanno ottenuto la nazionalità.
Ora una nuova associazione a cui ci si può iscrivere su Facebook, Associazione Tunisini in Italia, sta cercando di colmare questa nostra lacuna culturale e di portare delle proposte affinché si migliorino la reputazione dei Tunisini, si permetta ai giovani cittadini italiani di sentirsi sullo stesso piano sociale e si migliori il loro inserimento in società. Osservando il gruppo su Facebook, si apprezzano le cose positive che i tunisini apportano all’Italia.
A leggere i rapporti del presidente dell’associazione, il dottor Adel Chehida, medico anestesista e rianimatore, ormai divenuto italiano, sposato ad una italiana con cui ha 3 figli, è tempo che lo Stato Italiano si accorga delle difficoltà che trovano i connazionali che vorrebbero integrarsi meglio, ma non hanno spazio per far notare le qualità di questo popolo mite e gentile.
Il dott. Chehida, riporta il fatto che la maggior parte della manodopera tunisina che vive al Nord è occupata nel settore industriale, mentre al sud nel settore agricolo e nella Pesca. L’età media è di 31 anni, quindi una forza-lavoro estremamente importante sia per l’Italia – che ne beneficia, appunto – che per la Tunisia, a cui vanno poi le rimesse dei migranti, che quindi sostengono la loro madre-patria un articolo veramente interessante si trova all’indirizzo web (http://www.leaders.com.tn/article/23374-pecheurs-tunisiens-en-italie). Ma è chiaro che gli esseri umani vengono spesso trattati come macchine da produzione, fornendo a loro solo una vita senza troppo senso, senza troppa consapevolezza , quindi necessitano di una sempre migliore formazione scolastica e di una adeguata integrazione per migliorare la qualità del senso della vita. La qual cosa va sempre a vantaggio di entrambi i popoli e le nazioni.
Per esempio, dei quasi 40.000 minori tunisini in Italia, solo circa il 50% è iscritto nelle scuole primarie e secondarie (solo circa mille sono all’Università). Come è possibile questo? Secondo le indagini si dice genericamente che gli altri siano iscritti alle scuole tunisine in Italia, ma la cifra sembra troppo elevata perché sia realistica e quindi c’è qualcosa di ‘fuori controllo ’ , poiché significa che molti minori non sono bene inseriti nelle scuole e quindi, abbandonati a se stessi, diventano facili prede della malavita o della radicalizzazione religioso-politica. Quindi il governo italiano dovrebbe attivarsi urgentemente per un progetto di ‘censimento’ e immediatamente di inserimento nella scolarizzazione gratuita. Ne beneficerebbero sia il territorio italiano che i ragazzi stessi e di conseguenza gli adulti tunisini responsabili di questi ragazzi. A mio avviso , il fatto che i ragazzi possano essere inseriti in scuole o piccoli lavori, non ruberebbe niente a nessuno, ossia non porterebbe via nessun posto di lavoro agli italiani, ma favorirebbe una migliore educazione di tutti, perché attraverso l’educazione passa il rispetto delle regole e quindi il rispetto delle persone. Come saranno le generazioni future in questa Italia che è ormai composta di migranti di passaggio e italiani che ormai vivono in un caotico melting-pot?
Sono una professoressa. Ho in mano un complesso progetto educativo anche per gli adulti stranieri inoccupati e con poca alfabetizzazione e che non vogliono andare a scuola, ma per il momento non ho trovato uno sponsor disposto a capire la bontà del progetto e la gravità della situazione. Sono ben favorevole, a chi mi chiederà, di spiegarlo e realizzarlo, perché, per esempio, si potrebbe lavorare sui diritti alle cittadinanze in base all’istruzione. Senza contare che ogni ‘nazione’ è ormai specializzata nel lavoro in alcuni settori del mercato (solo per esempio i Filippini e gli Srilankesi sono specializzati nei servizi domestici, cosi come le badanti sono soprattutto Ucraine). Dove mettiamo tutti i giovani nordafricani se prima non diamo loro un’educazione comportamentale complessiva e una specializzazione? E’ certo che saranno preda delle cosche di pseudo agricoltori che raccolgono pomodori , oppure rimarranno per strada, con tutte le ovvie conseguenze…
I migranti hanno delle ‘life skills’, che li fanno diventare adulti responsabili di sé e famiglie intere già a 20/25 anni. Un esempio che dovremmo studiare. Invece noi potremmo fornire loro i comportamenti di non aggressione e rispetto di certi valori di eguaglianza di genere e libertà individuale, che abbiamo maturato negli ultimi secoli. Quindi è compito della nostra Amministrazione occuparsi di questo problema sociale ed educativo che da me e da altri, come per esempio il dottor Adel Chehida, è stato solo sollevato.

Raffaella Biasi



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