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Ugo Mattei a Treviso: beni comuni e individualismo proprietario. Qualche nota a margine per progettare il cambiamento

2 giugno 2013

Di Alberto Leoncini





Tutto esaurito lo scorso 3 maggio (2013) per l’incontro serale tenutosi presso la Fondazione Benetton di Treviso con Ugo Mattei, civilista di Torino autore di “Beni comuni, un manifesto” (Laterza, pp.136 €8,50) e chiamato da Luigi de Magistris alla presidenza di ABC (AcquaBeneComune, azienda pubblica che sta cercando di dare attuazione piena all’esito referendario del 2011 nella città di Napoli in una prospettiva di gestione partecipata) in cui è stata presentata l’esperienza del Teatro Valle Occupato di Roma e aperto un dibattito sugli spazi a Treviso alla presenza di svariati candidati sindaco.
Mattei peraltro ha tenuto, poche ore prima dell’incontro di cui ci occupiamo in questa sede, una lezione/incontro in piazza Aldo Moro sempre a Treviso con il collettivo ZTL il cui video è qui disponibile: http://www.youtube.com/watch?v=Am4Z-v3kb9Q
Culturalmente, dicevo, si è trattato di un’occasione foriera di contenuti e stimoli, mai banale. Alcune precisazioni vanno svolte affrontando in maniera finalmente muscolare la protervia e il millantato legalismo delle destre. Occorre, fin d’ora, che la sinistra e il fronte progressista rivendichino a tutto campo la propria vocazione a un ripensamento- diciamolo pure- radicale dei rapporti economici. Come infatti il candidato di centrodestra Massimo Zanetti non ha avuto remore a dire che lui contrasterà (testuali parole: “mi candido per non far diventare Treviso una comune”) con ogni mezzo quel tipo di pratiche, noi dobbiamo avere il coraggio del nostro passato e rivendicare un altro modo di concepire la distribuzione dei beni, vieppiù urgente alla luce della crisi sistemica che ci sta travolgendo.
Mattei ha battuto molto sul contrasto tra legalismo formale e legalità sostanziale, facendo leva sulla funzione sociale della proprietà privata così come tratteggiata dalla Costituzione. Nulla da dire in merito, se non che la Costituzione è, nell’attuale contesto, un’arma spuntata poiché l’incedere del processo di integrazione europea ne ha svuotato dall’esterno la portata progressista e interventista nei rapporti economici in nome del “mercato”, vera e propria divinità dell’ordine europeo, ahinoi acriticamente sposato anche dalla quasi totalità delle forze progressiste a ogni latitudine di governo. Come non posso dissentire da Mattei quando svaluta il pregio del nostro Codice Civile (entrato in vigore nel 1942, quindi in pieno fascismo, giusto per chiamare le cose con il proprio nome), certo pienamente liberale e borghese, ma pieno di sfumature e aperture che ne fanno uno strumento validissimo e comunque adattabile anche oggi per funzionalizzare e gestire al meglio la proprietà privata. Anzitutto va detto che un catalogo affatto esteso di beni (si vedano artt.821ss) segue il regime dell’appartenenza e non della proprietà con ciò vedendo una funzionalizzazione all’interesse sovraindividuale del tutto insopprimibile, questa va ricuperata e pienamente attuata e, casomai, integrata con le più avanzate proposte ricavabili dalla sua riflessione-manifesto. Di più, tutto il nostro ordinamento privatistico è quasi “ossessionato” dal c.d. produttivismo, cioè dalla spinta alla valorizzazione e alla mobilizzazione della ricchezza. Viene dunque tollerato l’abbandono da parte del proprietario delle proprie ragioni, facoltà questa indiscutibile, ma vengono incentivati, contestualmente, i consociati a farsi carico di quella ricchezza in abbandono. Ecco perché dissento da Mattei quando traccia un discrimine tra le occupazioni (occupazione è, tecnicamente, un modo di acquisire la proprietà dei beni mobili abbandonati a titolo originario, mentre per i beni immobili indica solo uno stato di fatto) di beni pubblici abbandonati (caserme, palazzi, edifici…) e privati (come avvenuto nel caso ZTL a Treviso con l’ex area Telecom).
Nessun discrimine vi è perché all’ordinamento non interessa chi abbandoni la ricchezza, ma il fatto che ciò avvenga. Ho già tratteggiato queste argomentazioni in un mio precedente scritto (si veda: http://www.abcveneto.com/pagine/feb13/art/alberto-leoncini.html ) ma vorrei ulteriormente ribadire e ampliare il sostrato giuridico su cui poggiano. Purtroppo la mia domanda sull’occupazione di beni abbandonati come “esercizio di un diritto” che scriminerebbe (toglierebbe cioè l’antigiuridicità penale) tali condotte rendendole conformi al nostro ordinamento (vedendo quindi l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” di eventuali imputati per reati di quel tipo, non certo, ovviamente per altri quali resistenza o l’oltraggio a pubblico ufficiale, per stare nei casi più frequenti) nell’insieme inteso è rimasta senza esplicita risposta per ragioni di tempo. Tale operazione è volta a riaffermare la vigenza dell’art 838 cc in un’ottica certamente costituzionalmente orientata e tralasciando ogni strascico corporativo, contestualmente ritengo debba essere assestato un nuovo fronte di opposizione a sgomberi e operazioni securitarie nelle aree dismesse (fintanto naturalmente che non vi siano obiettive ragioni per procedervi: spaccio, delinquenza, malaffare… questo è ovvio). Ciò fa leva sulla nozione di “atto emulativo”, sempre nel nostro codice civile, art. 833, “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri”. Si tratta di uno dei principali limiti al diritto di proprietà (limite senz’altro negativo, cioè consistente in un non-fare, come tutti quelli che riguardano i diritti assoluti) ma che, in sostanza, vuole significare che il proprietario non può “per capriccio” esercitare una sua facoltà se questa è pregiudizievole ad un altro consociato e alle sue ragioni, ragioni che, come abbiamo visto, poggiano su un atteggiamento che il nostro ordinamento incentiva. Ciò significa che è un atto emulativo lo sgombero di un palazzo occupato per farlo tornare vuoto e lasciarlo vuoto. Nessun dubbio che il proprietario qualora voglia concretamente esercitare le proprie facoltà possa sgomberare, ma questo deve essere documentato e concretamente valutabile ex ante, non trovando giustificazione in un mero moto di egoismo. Ritengo inaccettabile, giuridicamente prima che sul piano civico, che l’ex area Telecom (cito questo caso perché ci riguarda da vicino) sia stata murata e lasciata lì esattamente com’era proprio perché quell’atto è stato di nocumento ad altri e privo di qualsiasi effetto sulla valorizzazione economica di quel cespite.

A tutti noi una tale prospettiva potrebbe far riandare la memoria a stagioni rivoluzionarie ormai lontane, suscitando un certo “terrore” nella classe media. Magari proprietaria di una casa, e magari di una seconda casa al mare. E magari di una terza casa ai monti. Stiano tranquilli! Il punto di cui si discute è la lotta, questa si da condursi senza quartiere, al latifondo urbano e alla grande proprietà immobiliare che, si noti, è proprio una delle concause dello strozzamento di quella classe media in corso di erosione, prima, e di proletarizzazione poi, a tutto vantaggio di un sistema di distribuzione della ricchezza mostruosamente ineguale. Dati della Banca d’Italia ci dicono che il 10% della popolazione italiana detiene il 45% della ricchezza. Ciò significa che con una torta tagliata in due metà pressappoco uguali, la prima viene divisa in dieci fette, la seconda in novanta. Questo è inaccettabile, oltre che economicamente folle essendo dimostrato da estesa letteratura di settore che i ricchi non consumino, ma destinino la gran parte dei propri introiti alla rendita, quindi in un’ottica di rilancio anche “capitalista” la questione perequativa è imprescindibile. Non c’è niente di liberale nel lasciare vuoti milioni di metri cubi solo per sostenere il livello della rendita immobiliare che assorbe quote sempre maggiori dei già magri bilanci delle famiglie: è solo la riproposizione nel terzo millennio del latifondo. Quello agrario è stato combattuto con le occupazioni delle terre, costate la vita a centinaia di contadini, brutalmente massacrati perché pretendevano la riforma agraria. Il latifondo urbano dovrà seguire un percorso analogo, solo speriamo meno cruento. Gli enti locali dovranno farsi promotori di una rete nazionale di alternativa, nelle pratiche di gestione abitativa e degli spazi, seguendo a ruota esempi come quelli del X Municipio di Roma, di cui spicca la figura di Sandro Medici(si vedano: http://www.sandromedici.it/index.php/18-sandro-medici-comunicato-stampa-sulle-occupazioni-di-ieri

http://www.repubblicaromana.org/index.php/rassegna-stampa/rassegna-stampa/item/129-sandro-medici-roma-deve-dichiararsi-citta-senza-debito ).

Per un esteso approfondimento sulle questioni della proprietà fra Costituzione e Codice Civile: http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/Norma_Costituzionale.htm

Alberto Leoncini*
*una versione abbreviata di questo articolo è uscita sul sito www.trevisocivica.it con finalità di approfondimento/formazione elettorale. Non trattandosi di una testata giornalistica, la presente può essere considerata come la prima pubblicazione dell’intervento (NdA)

Di Alberto Leoncini



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