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Numero 111

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Prescrivere liberare, saggio su Ethos e architettura

Testo di Maria Clara Ghia foto di Giovanna Dal Magro


È possibile tessere relazioni tra pensiero filosofico sull’etica e pratica dell’architettura? È rintracciabile un senso per il progetto rispetto a una produzione che sembra averlo smarrito? Di fronte alle grandi sfide della contemporaneità, possiamo reinterpretare l’architettura come una delle vie rigeneratrici di cui parla Edgar Morin?
Ci si continua a interrogare attraverso questo saggio sul progetto di architettura: sulle sue oscillazioni tra prescrizione e liberazione dei comportamenti degli utenti, sul sistema di sottili relazioni che esso intreccia con il paesaggio, la società e la cultura in cui interviene, sul rilancio ritmico di nuove possibilità che esso offre, svelandole dal passato e dischiudendole al futuro, sull’attrito che la vita procura nei processi di permanenza e emergenza delle forme.
Il libro segue un andamento affine all’ascolto musicale, con la possibilità di collegare stati emotivi a ciò che si legge e con l’eventualità di compiere salti, isolare passaggi, oppure seguire dall’inizio alla fine l’incedere della melodia. Nella Fuga iniziale ci si affaccia su altri campi disciplinari, soprattutto sulla letteratura, alla ricerca di tracce, nuovi quesiti, altri segnali da seguire. Nel Primo Movimento si procede tra i concetti fondamentali dell’etica nel pensiero classico e contemporaneo. Nel Secondo Movimento ci si inoltra nel panorama architettonico, alla ricerca di comportamenti da assumere, errori da non ripetere, responsabilità per cui impegnarsi. Si conclude in compagnia di viandanti, figure arcaiche, intempestive, anacronistiche e pur sempre attuali, introvabili eppure uniche nel saper cogliere l’appuntamento in questione nella contemporaneità.
Un tentativo non concluso, che suscita altri pressanti interrogativi. Un tentativo che si propone di far emergere un pensiero sull’architettura denso di umanesimo, sulle linee della tradizione filosofica italiana dell’esistenzialismo positivo.
L’architetto come ultimo umanista, l’architettura come alta possibilità data agli uomini di rappresentare la vita su questo pianeta e di immaginare produttivamente il nostro domani.

Maria Clara Ghia è nata a Roma nel 1976. È architetto e Dottore di Ricerca in Architettura e in Filosofia. Ha svolto un dottorato con un programma in cotutela fra l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (dottorato in Composizione Architettonica – Teorie dell’Architettura) e l’Università “Jean Moulin – Lyon 3” di Lione (école doctorale Philosophie).
Ha studiato e lavorato a Roma e Parigi, sviluppando un particolare interesse per l’interdisciplinarità e sperimentando un nuovo sguardo sui temi dell’architettura mediato dallo studio del pensiero filosofico contemporaneo.
È autrice di articoli e saggi di teoria e critica architettonica, nel 2011 è vincitrice del Premio Bruno Zevi per un saggio storico-critico sull’architettura. Ha pubblicato fra l’altro: Le epifanie di Proteo (2008, con A. Greco e R. Nicolini) e Leonardo Ricci. Monterinaldi, Balmain, Mann-Borgese (2012, con Antonella Greco).

Testo di Maria Clara Ghia foto di Giovanna Dal Magro

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