ABCVENETO.COM

Numero 110

Tel: 0422 542904 | Mail: INFO@ABCVENETO.COM


Boccaccio è a Chicago all'istituto di Cultura per i settecento anni

3 Maggio 2013

Testo e foto di Maria Ester Nichele





Quest'anno 2013, negli Stati Uniti, si festeggia la Cultura Italiana nei cinque Istituti italiani. In questo Istituto di Chicago diretto dal professor Silvio Marchetti, dove mi sono recata, ho assistito a film e convegni, tra i quali una conferenza sul "Decameron", il libro più famoso di 'Messer Giovanni Boccaccio' nel settecentesimo anniversario della nascita, 1313 / 2013.

Riporto alcuni stralci della relazione del professor Carlo Pulsoni, esperto di autori italiani storici come Francesco Petrarca e appunto, Giovanni Boccaccio:

La folla dell'Istututo di Cultura...La fortuna che arrise al Decamerone di Boccaccio è ben testimoniata dall'immensa tradizione manoscritta che riporta l'opera, fin dalla seconda metà del Trecento. Il testo era talmente avvincente e appassionante che molti lettori si atteggiavano a copisti pur di avere in casa una propria copia dell'opera. Uno dei più grandi studiosi di Boccaccio, Vittore Branca, ha parlato appositamente di "epopea dei mercatanti" per risaltare il fatto che l'opera non si limitò a essere letta dall'élite culturale dell'epoca, ma interessò anche tante persone aliene alla pratica del piacere della lettura, tra cui gli stessi "mercatanti", che si vedevano riflessi al suo interno.

(...) Diverse sono state le slide che il professor Pulsoni illustrò tra manoscritti dell'opera tra il XIV e il XV secolo. Nel grafico si vedeva il picco nella seconda metà del XV secolo, pur se non va esclusa l'ipotesi che ciò dipenda dalla scomparsa di molti manoscritti del periodo precedente.
Abbiamo la produzione della lettera di Francesco Buondelmenti nato a Firenze, più tardi la famiglia si trasferì a Napoli. Introdotto alla corte angioina dallo zio Niccola Acciaioli, mercante fiorentino che aveva fatto fortuna fino a diventare il potentissimo Gran Siniscalco. Nel 1339 partito da Napoli, dove risiedeva, Francesco era passato per Firenze, dove probabilmente aveva commissionato il manoscritto boccacciano senza aver potuto ritirarlo. Nell'estate dell'anno successivo, il suo pensiero tornò al quel codice, che sarebbe potuto cadere in mani sbagliate e per poterlo ottenere si rivolse al cugino Giovanni, appena eletto arcivescovo di Patrasso grazie ai buoni uffici del potentissimo Nicola.
Il principale motivo di interesse offerto dal documento laurenziano è dato dal fatto che esso testimonia in una data molto alta, il 1360, ben quindici anni prima della morte del Boccaccio, "l'avvenuta pubblicazione, se non una già più larga diffusione" dell'opera.

(...) Il primo per certi versi più famoso copista per passione decameroniano è senza dubbio quel Francesco d'Amaretto Mannelli che si sottoscrive in calce codice Laurenziano Pluteo 42,1. I copisti per passione, per la loro natura stessa di appassionati dell'opera che avevano deciso di trascrivere, erano soliti avere un atteggiamento di intensa partecipazione emotiva alle vicende che venivano narrate, ma per noi è molto difficile cogliere le tracce di questa partecipazione. Nel caso di Mannelli, invece, abbiamo uno straordinario strumento di conoscenza dell'atteggiamento con il quale egli copiò e successivamente rilesse l'opera, un ricchissimo apparato di note in margine, ancora in gran parte da studiare, che ci consentono di scoprire il suo forte coinvolgimento nella narrazione novellistica ed anche una preparazione culturale, ottima, associata ad uno scrupolo che potremmo definire "filologico" in qualche misura sorprendente in età pre-umanistica.
Essa ci consente di intravvedere quella società "fiorentino-napoletana", all'interno del quale il Decameron ebbe probabilmente la sua prima fortuna.

(...) In altri interventi Francesco fa suoi toni di corrosiva satira antimonastica boccacciana, sottolineando la lussuria, l'ipocrisia, l'avidità dei religiosi e in un caso si rivela persino il presunto scetticismo dell'utilità di messe, orazioni ed elemosine per le anime dei defunti. Nei confronti dell'universo femminile, Francesco ha un' atteggiamento duplice, prevalentemente misogino, ma con sorprendenti tratti di filoginia che torna anche a riguardo alla questione dell'opportunità della concessione della lettura del Decameron alle donne; il Manelli in qualche caso giustifica, poiché sembra considerare le novelle boccacciane -anche quelle più scandalose- ("questo si vuole usare per tutto questo libro, pigliandone il bene et lasciando il male", c. 94v. In riferimento alle parole rivolte da Dioneo alle ascoltatrici prima del racconto della novella di Pietro da Vinciolo); in altre circostanze, però, egli sottolinea i rischi insiti nella lettura muliebre, come quando prende le distanze dalla giustificazione boccacciana presente nella Conclusione, dichiarando: "questo non credo che le tristi parole guastano i buoni costumy" (c. 171 r.).

(...) Tale apparente contraddizione si potrebbe forse risolvere ipotizzando che il Manelli sostenesse l'idea della necessità non di una censura totalizzante di stampo moralistico, ma piuttosto di una fruizione guidata dell'opera, non affidata all'iniziativa personale delle lettrici, ma consegnata alla mediazione maschile.
Questi erano copisti per passione, ora passiamo perché non possiamo dimenticare che esiste anche una tipologia delle copie a pagamento. Ghinozzo, il quale diversamente da Manelli non appone note di commento. Nella sua vita ebbe una svolta improvvisa negativa in seguito a un fallimento della congiura detta dei "Galeazzi", organizzata il 26 novembre del 1403 per liberare Siena dai Visconti; il nome di Ghinozzo non compare nelle liste dei ribelli del 1403, ma egli fu esiliato più tardi come attestato da un decreto nel 1406. Giovanni Ardinghelli scrive dal carcere, apparteneva a un ramo cadetto di una potente famiglia mercantile fiorentina. Dopo anni di lavoro e di sfortuna al termine della sua parabola discendente, varca la soglia delle prigioni delle Stinche. La somma dei suoi debiti appare davvero esorbitante, il totale arriva a duemila fiorini. La detenzione di Giovanni al carcere fu lunghissima e durò fino alla morte, avvenuta nell'ottobre 1450. L' Ardinghelli, dunque, esercitò la sua attività di copia a prezzo in carcere, per ripagare, almeno parzialmente, quanto dovuto.

(...) Con l'avvento della stampa la possibilità di avere una copia del Decameron divenne più semplice per via dei costi ridotti rispetto agli esemplari manoscritti. Nella prima metà del Cinquecento l'Istituto del Catalogo Unico segnala una ventina di edizioni dell'opera, pubblicate a Venezia, Firenze, Brescia, Monferrato e via di seguito. Considerando una tiratura di almeno duemila libri per edizione ci si rende conto che nei primi cinquant'anni del XVI secolo dovevano girare almeno quarantamila copie del capolavoro del Boccaccio, un numero effettivamente impressionante se a confrontato con la popolazione del periodo come anche la sua alfabetizzazione.
Silvio Marchetti Chirchi Carlo PulsoniIl postillato del Decameron di Messer Giovanni Boccaccio, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana con la segnatura Capponi IV 508, presenta la mano di Ludovico Dolce che riproduce la collezione voluta dal Bembo su un manoscritto antico dell'opera, stando a quanto viene affermato nelle postille poste all'inizio e alla fine del libro. Questo lavoro fu effettuato su una copia dell'edizione Dolfin tra il 2 marzo e il 4 aprile 1527.
Queste indicazioni se da un lato confermano l'uso dell'edizione Dolfin da parte di Bembo, dall'altro forniscono precise informazioni sul periodo in cui lo studioso veneziano attese a questo lavoro. Alla luce di questa datazione diventa di particolare interesse la lettera che Bembo invia a Carlo Gualteruzzi, priva di datazione, ma riconducibile per gli argomenti trattati al maggio 1530, perché essendo posteriore alla collocazione del Bembo stesso si può interpretare come una sorta si esortazione ad "alcuno otioso ingegno" a svolgere in toto il lavoro di verifica testuale su "Decamerone antico" che lui aveva fatto solo in parte.
(...) Tornando alla fortuna del Decameron, appare ovvio che una diffusione così massiccia dovette scuscitare dei problemi all'interno della Chiesa: molte novelle contenute nell'opera sono com'è noto licenziose e hanno spesso come protagonisti rappresenti della Chiesa, quali frati, preti, suore.
Nell'impossibilità di vietare la lettura di un testo così amato, si incoraggiò pertanto un lavoro di correzione o per usare un termine tecnico di "riassettatura" del capolavoro boccacciano. Il testo in ben tre edizioni cinquecentesche non dipese solo dalla lezione reperibile dai manoscritti o nelle stampe prese a riferimento, ma anche da un conscio lavoro di riassettatura atto a purgare le parti licenziose dell'opera nel clima religioso post-tridentino. Le edizioni in questione sono quelle dei Deputati fiorentini (1573), di Leonardo Salviati (1582) e infine Luigi Groto... (1589).

Testo e foto di Maria Ester Nichele



Abcveneto

Mensile telematico sul Veneto e Triveneto: Cosa fanno i veneti dentro e fuori d'Italia, nella cultura, nella fotografia, nel turismo, nel cinema, nell'arte,nell'economia. Registrato con il n° 3104 del Registro Stampa, presso la Cancelleria del Tribunale di Treviso il 19/02/2004.
Contatti: info@abcveneto.com

Salva la pagina in pdf

pdf icona

Abcveneto statistiche