Le donne, le armi e gli amori di Melania Fiore

Quasi un secolo prima di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, ricordata come la prima donna laureata nel mondo grazie alle aperture laiche possibili nell’ambito della Serenissima- ciò senza essere io un nostalgico-Isabella Andreini fu una delle protagoniste della Commedia dell’Arte e proprio tale figura viene evocata nella prefazione di Enrico Bernard a ‘Trilogia d’amore e teatro civile’ (La Mongolfiera, Cosenza http://www.lamongolfieraeditrice.it/) di Melania Fiore per evidenziare come l’autrice raccolga il testimone di una lunga tradizione culturale e artistica.

A cura di Alberto Leoncini

Si tratta di un trittico di opere teatrali di spiccata originalità realizzate dall’autrice-attrice di origine cosentina che riesce nel non semplice compito di elaborare in una dimensione intimistica il teatro d’impegno, quasi un paradosso che va però letto nella prospettiva, spesso sorvolata, per cui i grandi gesti di ribellione e opposizione allo stato di cose presenti si consumano sia con una sana dose d’incoscienza sia per motivazioni personali le più varie, in altri termini gli eroi ci sono proprio perché non c’è il mestiere dell’eroe. Questi testi ci consentono di provare a leggere gli accadimenti storici facendo finta di non sapere il loro epilogo che li consacra all’epopea, per restituire invece il vero ruolo di protagonismo dei singoli nello sfidare un ordine delle cose basato sulla sopraffazione, la soppressione dei diritti e delle libertà fondamentali, in una parola sul pensiero unico. Questi i fili conduttori di ‘Partigiana’ e ‘L’amore in guerra’, storie tutte al femminile ambientate durante il secondo conflitto mondiale.
Si recupera in questo senso il grande messaggio alla contemporaneità, cioè la dimensione laica e quotidiana dell’impegno civile che viene compiutamente sviluppata nel terzo testo, ‘Tutto il mio amore’. In questo lavoro Melania Fiore compie un deciso salto di qualità riversando nel teatro quella che è l’attualità della ‘questione meridionale’: sia chiaro i dati statistici, gli studi sociologici, economici e le verità giudiziarie ci sono note e per chi, come chi scrive, studia e attualizza la questione nazionale nel XXI secolo, essi si presentano in tutta la loro drammaticità. Sappiamo tutti quali siano i problemi del nostro Mezzogiorno, ma Melania Fiore descrive in modo al contempo struggente e impietoso cosa significhino quei fatti sulle persone partendo dal microcosmo di Panettieri, comune sulla Sila Piccola, uno di quei posti da cui la gente ‘o muore o se ne va’. Un’esperienza diretta la sua, essendo appunto di origine calabrese, quella di chi riversa la propria esperienza e le suggestioni derivanti dal proprio ambiente d’origine, ma anche i drammi provocati dalle nuove piaghe come le ecomafie che porteranno al tragico epilogo della pièce.
Una storia, quella raccontata da Melania Fiore, che riporta alla mente le tante piccole e grandi storie di sopraffazione e sfruttamento raccontate da Leonida Repaci in ‘Calabria grande e amara’, che ho ripreso scrivendo questa recensione, avendo al contempo l’opportunità di ripensare a quante meraviglie e tesori siano racchiusi nel nostro Sud, che forse sono meno noti delle sue disgrazie e il magnifico sogno che ci regala il teatro è quello di sperare che i profumi della cucina di Panettieri, ricca di succulente pietanze calabresi, riescano a coprire per sempre i miasmi dei fanghi tossici.

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